Sandrine Bakayoko aveva solo 25 anni.
Sua “colpa”, quella di essere una ragazza ivoriana in attesa di ricevere asilo politico in Italia.
Dopo giorni di malori in cui sputava sangue e aveva febbre, è morta da sola, nelle docce del centro di accoglienza per migranti di Conetta. O sarebbe meglio dire nel centro di prigionia di Conetta, visto che si tratta di una tendopoli situata nel mezzo della campagna priva di collegamenti e servizi.
Un “centro di accoglienza” come molti, utilizzati dai gestori per incassare e fare guadagni facili, di certo non per accompagnare le migranti e i migranti nel loro percorso.
A Conetta infatti la cooperativa Ecofficina che gestisce il centro è arrivata a fatturare 10 milioni di euro in un anno. Fino al 2015 si occupava di rifiuti poi si è buttata sul “business rifugiati”.
Ieri a Conetta è cominciata l’ultima di una serie di rivolte organizzate dai migranti del centro. Il motivo è stato il ritrovamento del corpo di Sandrine Bakayoko in uno dei bagni della struttura. Il compagno della donna ha detto che Sandrine Bakayoko si era sentita male già all’alba di lunedì ma lui l’ha trovata priva di coscienza solo intorno a mezzogiorno.
«Oggi è morta una ragazza, è morta anche per come viene gestito il campo. Tutti gli ospiti qui hanno deciso di fare uno sciopero per le condizioni in cui ci troviamo; abbiamo problemi di elettricità, di acqua e problemi di ogni genere. In generale in questo momento tutta la situazione del campo è molto precaria, c’è freddo e siamo molto a disagio, lasciati qui abbandonati a noi stessi sempre. Vogliamo che queste cose si conoscano, che si sappiano anche fuori. Ora che è anche morta una ragazza non possiamo più aspettare» dice un migrante.
E infatti, come in passato, non la morte inammissibile di una persona ma solo la rivolta dei e delle migranti ha permesso che la notizia circolasse nei maggiori media, con i soliti articoli e servizi criminalizzanti. Nessuno di questi racconta come nei luoghi cosiddetti “di accoglienza”, dove decine di migliaia di persone migranti in realtà vengono segregate e tenute in attesa di una risposta alle domande d’asilo (che per la maggioranza sarà negativa), si muore per mancanza di assistenza medica così come per disperazione.
Sono frequenti le morti nei centri e, la maggior parte delle volte, senza nome. Solo per citare le ultime: il 30 dicembre Simon, un trentenne del Ghana, era morto in un centro accoglienza a San Vittore (Fr), e il 20 dicembre a Roccasecca (Fr) era morto un quindicenne egiziano. Il 7 dicembre Antonio, un giovane angolano di 28 anni si era impiccato nel bagno del centro accoglienza di Via Fratelli Zoia a Milano.
Eppure migliaia di persone hanno lottato e continuano a farlo, perché tutto questo non accada: sono le stesse persone imprigionate nel sistema di gestione, controllo e selezione che purtroppo tanti continuano a definire “di accoglienza”.
Raccontiamo queste lotte, perché non rimangano più isolate dalla mancanza di solidarietà attiva, anche in vista della prevedibile repressione che si scaglierà contro chi ha protestato.
Nei centri per l’accoglienza si muore. Come non avremmo voluto piangere Sandrine non vogliamo piangere più nessuno.
E oggi ancor più di ieri vogliamo urlare la nostra rabbia verso queste istituzioni che dietro la parola “accoglienza” nascondono reclusione, isolamento e morte.
maggiori info: https://hurriya.noblogs.org/post/2017/01/03/cona-la-morte-di-sandrine-bakayoko-e-le-lotte-delle-persone-migranti-contro-laccoglienza-che-segrega-e-uccide/