Guerra allo Stato di Guerra

In questi giorni in cui si decantano le Forze Armate e si festeggia il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, rifiutiamo di unirci al coro nazionalista.

Abituati a PENSARE CON LA NOSTRA TESTA e a sceglierci i nemici e gli amici senza che nessuno ce lo imponga dall’alto, NOI celebriamo la Diserzione, l’Insubordinazione e la Ribellione. Disertare richiede capacità di giudizio autonomo, determinazione, coraggio e una buona dose di fortuna.

A spingere alla diserzione i soldati della Prima Guerra Mondiale era il peso insopportabile delle fatiche e della disciplina, il desiderio di sottrarsi a qualunque costo ad un’infernale guerra, voluta da borghesi, padroni e intellettuali fanatici, che li inchiodava alle trincee e li esponeva a un altissimo rischio di morte per il profitto di ben pochi magnati della Guerra.

A spingerci oggi all’insubordinazione è la nostra fame di giustizia: non è la collocazione geo-politica natale di una persona che ci interessa, ma se essa discrimina o sfrutta altri esseri viventi e l’ambiente naturale in cui vive.

Scopo di queste celebrazioni istituzionali è la normalizzazione della Guerra e la santificazione dell’apparato militare.

Non a caso le Scuole controllano capillarmente le nuove generazioni infondendo loro una mentalità gerarchica e d’obbedienza tipicamente militarista mascherata da vuoto patriottismo. Non a caso Istruzione e Ricerca sono spesso piegate al servizio dell’Industria Bellica. Non a caso l’Italia è il 3° Paese più militarizzato al mondo. Non a caso l’Italia è nella Top10 dei Paesi che esportano più armi nel mondo.

Non c’è teatro di guerra dove non ci sia l’esercito italiano o quanto meno armamenti “made in Italy”: questo è il tangibile contributo alla Pace ed al Benessere mondiale da parte dello stato democratico italiano, con buona pace dei politici tanto impegnati con le loro chiacchiere a giustificare missioni di guerra, utili solo a perpetrare il saccheggio delle risorse naturali dei paesi extra-europei da parte delle multinazionali italiane.


Per proseguire nel percorso di normalizzazione della Guerra, ultimamente qualcuno sta tornando a sparlare di una fantomatica re-introduzione della Leva Obbligatoria.

Chi ha un po’ di memoria storica sa bene che tutti gli eserciti nascono con una duplice finalità: di “difesa” dell’integrità territoriale di fronte agli invasori, ma anche di repressione e di controllo interno.

Chi ha un po’ di memoria storica sa bene che tutte le più grandi repressioni antipopolari della storia sono state condotte dagli eserciti dei propri Paesi. Ancora oggi è evidente l’utilizzo dell’Esercito per stroncare moti di ribellione popolare contro qualsiasi devastazione, sia essa la TAV, la TAP o altro. Il processo di normalizzazione della Guerra culmina con la sperimentazione di un fronte di “guerra interna”, una sorta di militarizzazione sociale dove, non ultimo, viene agitato lo spauracchio dell’”invasione etnica” per giustificare l’aumento di polizia e militari nelle strade e sui confini.

Chi ha un po’ di memoria storica sa bene che senza esercito, senza soldati, senza gente che faccia il mestiere di esercitare la violenza sui propri simili non è possibile il permanere di alcun privilegio, sia politico che economico. L’Esercito non è mai stato scisso dal Potere politico-economico che ad esso si accomuna e sorregge.

Ecco perché rifiutiamo l’Istituzione Militare e osteggiamo Stato e Capitalismo, in tutte le sue diramazioni. Ecco perché non possiamo che essere selvaggiamente ribelli e contrari a uomini e donne in divisa. Combattere il militarismo vuol dire combattere il sistema dell’autorità dell’uomo sull’uomo, essendo il militarismo la forma e l’esplicazione più odiosa della violenza autoritaria, dunque il primo nemico della libertà.

Possiamo, dunque, dirci pacifisti? Sì, a patto che a questo termine si intenda la ricerca della pace tra i popoli, ma al contempo la lotta mai pacificata ad ogni forma di sfruttamento e di dominio.

Le retoriche nate dai nazionalismi di ieri alimentano quelli di oggi.

Rivendicare una memoria antimilitarista significa combatterle entrambe.


Rompiamo il silenzio. Rompiamo le file!

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