Cominciamo a ragionare a partire dai fatti e non dalle fantasticherie di “giornalisti” ed “esperti di politica”: la classe operaia resta all’inferno!
Trump è stato votato da una netta, anche più netta che in passato, minoranza della società americana, e la fascia di reddito a partire dalla quale ha raggiunto la maggioranza è quella tra i 50mila e i 100mila dollari all’anno.
Insomma non proprio “gli strati più bassi della società che sono contro il sistema” come scrive o dice qualcuno.
E non è un caso se teniamo in considerazione che la classe media, negli USA come in Italia, sogna un ritorno a quel passato in cui qualunque uomo bianco munito di un diploma di scuola superiore potesse ambire a un lavoro in fabbrica “dignitoso” (è mai dignitoso un lavoro?), ma in quel passato non sognerebbe mai di prendere parte alle lotte operaie che hanno portato quei miglioramenti sul posto di lavoro, anzi al contrario oggi guarda con sdegno chi prende parte al conflitto sociale.
La “working class che ha votato contro il sistema” cui fanno riferimento i tanti “giornalisti” ed “esperti di politica” non ha nulla a che vedere con nessuna classe sociale, men che meno con la “classe operaia”: si tratta della classe media bianca che finora ha preso parte al banchetto indetto dal “sistema”, un banchetto fondato sull’esclusione in base a classe, razza o genere di appartenenza.
Una classe media che ora vede ridimensionarsi il proprio potere di acquisto e che ha paura di perdere il proprio posto in prima fila, posto di cui ha goduto finora anche grazie alle disparità di razza e di genere, garantite più o meno evidentemente dalle istituzioni.
Una classe sociale che ora ha paura di mangiare solo le briciole di quel pomposo banchetto, ma che non solidarizza affatto con chi è sempre stato costretto a mangiare solo le briciole: pensiamo a chi subisce quotidianamente gli effetti di scellerate politiche che producono inequità tra uomo, donna, trans o intersex, quelle politiche che producono precarietà nel mondo del lavoro se non disoccupazione, quelle politiche che segregano in strutture para-detentive chi decide di migrare.
La “working class che vota contro il sistema” altro non è che una classe sociale che vuole scacciare ancora di più chi vive ai margini, innalzando muri e altre barriere interne, sperando così di poter tornare a prendere posto in quel sistema-banchetto imbandito solo per pochi, a dispetto dei tanti e delle tante.
Responsabili di questo tragico quadro, in cui si sono fatte strada le narrazioni tossiche, la nostalgia, la paura della complessità, la xenofobia, il razzismo, il discorso esclusivo dei suprematisti bianchi e dell’integralismo cristiano, sono:
– da una parte il clintonismo e il centro-sinistra che lo ha sempre imitato in Italia e in Europa, che per livellare tutto sul modello della classe media ha abbandonato anche la fittizia e calcolata “attenzione” alle classi marginali;
– dall’altra parte la sinistra “radicale” e il “populismo di chi si oppone al sistema”, che con i loro slogan indefiniti cercano di uniformare ad un’astratta opposizione al “sistema” e al Presidente di turno le più diverse istanze legate alle differenze non solo di classe, ma anche di razza e genere, di fatto zittendole e cancellandole.
E infatti le lotte più radicali in questi anni sono proprio quelle che partono dall’autorganizzazione nei luoghi più nascosti e più lontani da quel feticcio di working class che sarebbe meglio chiamare “classe media impoverita”: basti pensare in Italia alle rivolte delle e dei braccianti african* di Rosarno o le migranti e i migranti in rivolta nelle strutture di (para)detenzione spacciate dalle istituzioni per strutture di accoglienza.
Insomma, quando in relazione a Trump, alla Brexit, a Grillo e Salvini, si taglia la testa al toro (ho sempre preferito tagliare la testa al torero!) facendo riferimento alla “working class contro il sistema”, si tratta di una becere opera di mistificazione in base al solo criterio della classe sociale. Se lo si fa, lo si fa al prezzo di escludere dal ragionamento tutte le altre differenze significative: sesso, razza, capitale culturale e sociale. E così ne escono analisi che sembrano neutre, ma al contrario ripropongono il mito della popolazione compatta, bianca, maschile e proprietaria.
Come possiamo pensare che sia un soggetto rivoluzionario e antisistemico chi fino a ieri ha preso parte a un banchetto che si regge sull’esclusione e oggi che è stato escluso invece di organizzarsi per rovesciare quel banchetto scalcia e fa la guerra ai suoi simili per essere riammesso a quel banchetto?
Piuttosto lottiamo contro quei magnaccioni che si abbuffano mentre a noi lasciano solo le briciole (o neanche quelle), conquistiamo con le nostre forze quelle leccornie su quel banchetto imbandito per pochi!
Troviamo le nostre vere alleate e i nostri veri alleati! Sono intorno a noi, nelle strade di notte a vendere il proprio corpo per mantenersi, rinchiusi nei centri di accoglienza o peggio nei CIE (lager di Stato) perchè “colpevoli” di aver attraversato una linea immaginaria, nei call-center a farsi friggere il cervello per potersi pagare l’affitto di una stanza di neanche 10mq, nel pantano delle università senza futuro!
Basta con le favole raccontate da giornalisti e pseudo-politologi, SCRIVIAMO NOI IL NOSTRO PRESENTE!