Dal 30 marzo 2004 il 10 febbraio è stato indicato come “Giornata del ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata”, invocando una presunta “pulizia etnica” attuata dai partigiani di Tito in quei territori della ex-Jugoslavia abitati dalla minoranza italiana nell’immediato dopoguerra.Tale giornata, sin dalla sua ideazione, ha assunto un carattere chiaramente ed eminentemente politico puntando non ad un tentativo di comprensione degli avvenimenti (e quindi ad una reale memoria storica), quanto alla polemica politica ed ideologica. D’altronde già nel 1943 i nazifascisti avevano edito il libello propagandistico “Ecco il conto!” per ingigantire e strumentalizzare il “fenomeno delle foibe” e accrescere l’odio verso gli antifascisti.
Riteniamo che il primo dato da mettere in evidenza sia il palese tentativo delle forze che l’hanno promossa (tutte facenti capo alla destra neofascista) di contrapporre tale giornata a quella delle vittime della Shoah nel tentativo di mettere tutti sullo stesso piano.
Il secondo dato è la continua mistificazione della realtà storica a partire da cifre false circa le proporzioni del fenomeno per arrivare alla totale decontestualizzazione degli avvenimenti, utilizzata per mettere in luce un presunto carattere etnico delle uccisioni.
La vulgata neofascista (fatta propria dal centrodestra come dal centrosinistra) è solita parlare di “decine di migliaia di infoibati per il solo fatto di essere italiani”; l’ammontare complessivo delle vittime sarebbe invece di qualche centinaia di morti tra Venezia Giulia e Litorale Adriatico. Delle “decine di migliaia di vittime” non c’è nessun riscontro documentale. Gli pesudo-storici delle foibe (molti dei quali neofascisti) non sono mai riusciti a presentare elenchi plausibili, includendo nel conto anche partigiani e civili uccisi dai nazifasciti, dispersi, soldati morti nei campi di prigionia, fino a comprendervi, tutti i morti per mano dell’Esercito di Liberazione Jugoslavo (alleato degli angloamericani). Anche la teoria dell’odio etnico non ha riscontro: “l’odio” non era anti-italiano ma anti-fascista! Furono circa 40mila gli italiani coinvolti nella lotta contro l’occupazione nazifascista al fianco dei partigiani jugoslavi!
Quello che però preme ricordare non è tanto il balletto delle cifre, quanto riportare il “fenomeno” nel suo contesto storico (senza il quale risulta incomprensibile).
E allora non si può non ricordare come i rapporti tra sloveni, croati e italiani furono irrimediabilmente guastati dalla politica fascista di italianizzazione forzata in Istria e Dalmazia a partire dal 1922 e per tutto il ventennio, in un territorio che vedeva gli italiani presenti solo nelle città, quindi in netta minoranza rispetto alla maggioranza slava che viveva nelle campagne. Alle persone slave, ad esempio, fu obbligato di cambiare cognome e vietato di parlare con la propria lingua, furono chiuse le scuole non italiane e variata la toponomastica. Non era neppure possibile celebrare messa in slavo!
Non si può non ricordare come il fascismo soffiò sul nazionalismo croato, foraggiando e sostenendo il movimento ustascia, autore di massacri nei confronti delle altre minoranze etniche jugoslave (serbi, ebrei e sloveni)
Non si possono non ricordare i crimini di guerra italiani durante l’occupazione in Jugoslavia nel 1941-1943, con interi villaggi dati alle fiamme, massacri di civili inermi (esattamente come fecero i tedeschi a Sant’Anna di Stazzena, a Pietranseri o a Marzabotto), l’internamento in veri e propri lager di sloveni, croati e serbi (tristemente famoso fu quello RAB/ARBE, in Slovenia, dove morirono circa 4 mila internati su 15mila totali; il tasso di mortalità era del 19%, ossia da campo di sterminio, e superava persino quello registrato nel lager nazista di Buchenwald, che era del 15%) per arrivare ad un totale di circa 250mila jugoslavi morti nelle attività legate alle operazioni di guerra italiane.
Non si può non ricordare come anche l’Italia “democratica” abbia sempre insabbiato tali verità storiche, negando l’estradizione dei criminali di guerra, a cominciare dal generale Mario Roatta, autore della famigerata circolare 3C nella quale stabiliva che “il trattamento da riservare ai ribelle non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente bensì da quella testa per dente!“.
Crediamo che per costruire una vera memoria storica non si possa non partire da questi dati storici che pongono le foibe in un contesto di guerra e quindi di estrema violenza che ha le sue radici nel nazionalismo esasperato predicato dal regime fascista per 20 anni e nella violenta occupazione e repressione sulle popolazioni locali messa in atto dall’esercito italiano nel 1941-43.
Invitiamo quindi a riflettere sulle mistificazioni che certa storiografia che si pretende neutra ma che fa capo a forze politiche di stampo chiaramente neofascista sta mettendo in campo da anni con il fine di giustificare e far passare per accettabile ciò che accettabile non può essere.
Laboratorio delle Culture Antifasciste
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«Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani». (Benito Mussolini, discorso tenuto a Pola nel marzo del 1920).
«Gli sloveni dovrebbero essere ammazzati tutti come cani e senza alcuna pietà» (Tenente colonnello Giuseppe Agueci).
«Si procede ad arresti, ad incendi ed a fucilazioni senza un perché positivo. […] Nei paesi avvengono scene veramente orrende e pietose di donne, uomini e bambini che si trascinano in ginocchio davanti ai nostri soldati implorando a mani giunte, seppur invano, di non incendiare le case, di lasciare in vita i loro cari. […] Le fucilazioni in massa fatte a casaccio e gli incendi dei paesi fatti per il solo gusto di distruggere (e i granatieri si sono conquistati un triste primato in questo campo) hanno incusso sì nella gente un sacro timore, ma ci hanno tolto anche molta simpatia e molta fiducia, tanto più che ognuno si accorge, se non è cieco, che i soldati sfogano sugli inermi la rabbia che non hanno potuto sfogare sui ribelli. […] La frase “gli italiani sono diventati peggiori dei tedeschi”, che si sente mormorare dappertutto, compendia i sentimenti degli sloveni verso di noi» (Il commissario civile Rosin del distretto di Longatico in due “riservatissime personali” del 30 luglio e del 31 agosto 1942, indirizzate all’alto commissario per la provincia di Lubiana, Grazioli)
«A qualunque costo deve esser ristabilito il dominio e il prestigio italiano, anche se dovessero sparire tutti gli sloveni e distrutta la Slovenia»; “Dove siamo noi, la giustizia la facciamo noi» (Il generale Mario Robotti)
«Come lasciammo quel disgraziatissimo paese! Lo abbandonammo con una turba di vecchi senza figli, di donne senza mariti, di bambini senza padri, tutta gente impotente, in gran parte privata anche delle case, che erano state bruciate, completamente priva di mezzi di sussistenza (stalle, pollai, campi: tutto era stato spogliato), li lasciammo ignudi a morire di fame.» (Il cappellano militare don Pietro Brignoli, 23 luglio 1942)
«Siamo stati internati a Rab. Abbiamo vissuto in tende vicino al mare. Dormivamo sulla nuda terra. Una notte, mentre dormivamo, il vento cominciò a soffiare e cominciò a piovere. L’alta marea era cresciuta e l’acqua nelle tende ci arrivò fino al ginocchio. Abbiamo pianto e chiamato aiuto. Volevamo scappare, ma le guardie non ci lasciavano uscire dal recinto. Il mare continuava a crescere e molti bambini morirono annegati.» (Testimonianza rilasciata nel 1944 da Ivan Štimec, bambino di 12 anni internato nel lager di Rab/Arbe)
«Le persone morivano letteralmente nel fango e nella sporcizia […]. Queste condizioni indicavano chiaramente la volontà di pulizia etnica nella provincia di Lubiana» (Dušan Puh, avvocato).
«Che nella provincia di Lubiana si sia tentata, più che un’italianizzazione rapida e forzata, un’operazione di autentica bonifica etnica, non è soltanto confermato dall’altissimo numero degli uccisi e dei deportati, e dalle stesse dichiarazioni di alcuni alti ufficiali […] ma da un documento che è rimasto agli atti, la famigerata circolare n. 3C, del primo marzo 1942, e i suoi allegati del 7 aprile a firma del Generale Roatta […].» (cit. Angelo Del Boca).